DI SFRUTTAMENTO E NUOVE LOTTE 

Ieri a Trieste una parte sostanziale dei riders che lavorano in città hanno deciso di disconnettersi dalle applicazioni che gesticono il loro lavoro per aderire allo sciopero nazionale contro le condizioni a cui sono sottoposte e sottoposti. Cottimo, sistemi di valutazione che li costringono a turni infiniti e spesso vuoti (tempi di attesa che non vengono retribuiti), nessun riconoscimento di malattia e infortuni, caporalato, sono solo alcuni tasselli di come è venuto a costituirsi il lavoro del food delivery dominato dalle grandi piattaforme che tutti conosciamo.

La pandemia e la sua gestione da parte delle diverse amministrazioni pubbliche ha provocato una vera e propria esplosione della domanda di consegne a domicilio di cibo e altri prodotti. Questo fenomeno, in un contesto di maggiore disoccupazione e di accelerata precarizzazione del lavoro, ha permesso a molte persone di trovare nella figura del rider una soluzione, parziale ma immediata, ai propri problemi lavorativi.

Questa necessità non ha anestetizzato però la presa di coscienza di molt* riders, che hanno capito che il sistema che gestice il loro lavoro non è che l’ennesimo meccanismo di sfruttamento. Così, in tante città, da mesi, hanno alzato la voce per chiedere migliori condizioni lavorative.

Le risposte padronali non si sono fatte attendere: la più recente, quella dell’accordo capestro tra Assodelivery e l’infame sindacato UGL (per nulla rappresentante dei lavoratori e delle lavoratrici del settore). E in questi giorni, altri accordi al ribasso stanno venendo sperimentati. Sono miseri tentativi per arrestare una lotta incipiente ma solida, portata avanti spesso da persone migranti, fatta in ogni caso da riders auto organizzati e molto combattivi. Chiedono l’applicazione del contratto nazionale della logistica e tutte le tutele del lavoro dipendente. Chiedono un salario dignitoso, la possibilità di rinnovare i documenti, il riconoscimento della dignità del lavoratore e della lavoratrice. All’urlo di «Non per noi, ma per tutt*».

Ieri per diverse ore i e le riders hanno sfilato per le vie della città, saldandosi alla Critical Mass che dall’anno scorso si riprende a due ruote, ogni ultimo venerdì del mese, gli spazi di circolazione in città. Hanno picchettato il McDonalds di piazza Goldoni e si sono ripresi in sicurezza le strade che percorrono ogni giorno nel traffico.

Ci è sembrato importante esserci al loro fianco, esprimere  solidarietà nella lotta, perché non si tratta solo di un lavoro ultra-precario, ma delle condizioni generali di circolazione delle merci in città, delle condizioni di vita e di lavoro di tutte e tutti.

Sul 3 novembre e la repressione

Il 3 novembre 2018 si sono svolte due importanti manifestazioni in regione: una antimilitarista a Gorizia contro le celebrazioni di una guerra fratricida e sanguinaria, una antifascista a Trieste contro la sfilata dei neofascisti di Casapound. Entrambe con l’obiettivo di combattere la narrazione tossica dell’esaltazione della nazione, della patria, del mito del “bravo italiano”, del macho eroe italico, narrazione che si è fatta strada in questa terra di confine creando terreno fertile per nuovi rigurgiti fascisti. Molte compagne in quella giornata si sono riversate nelle strade, mettendo in campo i propri corpi, gli strumenti e le pratiche di lotta che più ritenevano opportune per contrastare il lerciume guerrafondaio, nazionalpatriottico e neofascista che stava strisciando nelle due città, per urlare che la guerra fa schifo, quella di ieri come quella di oggi. Una guerra che continua ad essere alimentata da armi prodotte anche in questa regione.

Anche noi siamo scese per gridare che la guerra faceva schifo pure a quelli che oggi vengono chiamati eroi ma che non sono stati altro che carne da cannone; che quelli che si considerano nuovi eroi e vogliono marciare lungo le vie della nostra città col petto in fuori e il braccio teso vanno fermati.

Ma lo Stato si crogiola in queste narrazioni, gli sono necessarie per giustificare la produzione e la vendita di armi, gli interventi militari e neocoloniali, la violenza dei respingimenti alle frontiere, lo sfruttamento di persone migranti basato sul ricatto del permesso di soggiorno. E se tutto ciò viene attaccato lo Stato risponde con la repressione: cinque le denunce a Trieste per travisamento e manifestazione non autorizzata (il processo si è aperto l’8 marzo 2021, appena due giorni fa); quattro i decreti penali di condanna, emessi nell’ultima settimana con la richiesta di un pagamento di quasi 11.000 euro per manifestazione non autorizzata, imbrattamento e accensioni pericolose di materiale pirotecnico per il corteo di Gorizia.

Esprimiamo piena solidarietà a tutte le compagne coinvolte, la repressione non fermerà le nostre lotte.

Da Trieste a Ragusa: lo Stato contro la solidarietà organizzata

È passata meno di una settimana dalla violenta perquisizione realizzata dalla polizia nella sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV — anche abitazione privata della sua presidentessa Lorena Fornasir e del suo vicepresidente Gian Andrea Franchi — all’interno di un’indagine di larga scala su una supposta rete di passeur nella quale, a detta della Procura di Trieste, sarebbe coinvolto l’attivista. Ci sembra evidente che l’infame accusa rappresenta in realtà un tentativo di usare il potere giudiziario per attaccare una forma di solidarietà — quella che sostiene quotidianamente le persone protagoniste dei massacranti viaggi lungo i confini, a cui sono costrette dai governi europei — ormai troppo scomoda per i guardiani dell’ordine sociale.

Il ruolo che le associazioni svolgono nelle strade e nei mari mette infatti in luce in modo impietoso l’ipocrisia degli Stati europei, il meccanismo inumano dei confini tritacarne, utile soltanto alla produzione di nuovi schiavi, l’inconsistenza della retorica contrapposizione fra migranti regolari e irregolari in un sistema che obbliga chiunque alla clandestinità forzata.

Dopo aver tentato di colpire chi pratica la solidarietà lungo la Balkan route, a stretto giro è arrivato il turno di chi si organizza per tamponare l’altro grande massacro che avviene ai confini della Fortezza Europa — quello del Mediterraneo.

Ieri mattina all’alba, è scattata una vasta operazione di polizia contro Mediterranea Saving Humans, un’associazione senza scopo di lucro che dal 2018 promuove la pratica del soccorso civile in mare. La Procura di Ragusa (Sicilia), nota per la sua crociata contro le ONG che aiutano le persone migranti, ha coordinato perquisizioni in tutta Italia, in abitazioni, sedi sociali, e sulla nave Mare Jonio. Come indica la stessa associazione in un comunicato stampa rilasciato ieri, «le accuse sono pesanti, ma in realtà puntano a colpire la pratica del soccorso civile in mare».

In terra, in mare, a nord e a sud, le persone solidali si organizzano contro i massacranti confini di un’Europea che, dopo secoli di devastante colonialismo, si chiude a riccio e nega l’entrata nei suoi territori sulla base di criteri razzisti e classisti.

Noi saremo sempre schierati dalla parte della solidarietà, della libertà di movimento di tutte le persone, contro i confini.

Solidarietà e complicità alle compagne e ai compagni di Mediterranea!