Il ballo dell’antifa! [il 24 ottobre c’eravamo tutte]

Il 13 giugno comincerà un processo contro otto persone, colpevoli di aver difeso Piazza Libertà (Trieste), dove da anni le persone migranti trovano un primo sostegno e aiuto alla fine dell’incubo della rotta balcanica.

Il 24 ottobre 2020 una microscopica sigla fantasma, attiva solo su facebook e sui cartelloni pubblicitari, ha voluto organizzare una manifestazione apertamente razzista e fascista, a cui in decine abbiamo reagito, mostrandoci fisicamente indisponibili a lasciar loro quello spazio libero, migrante e di cura.

Spazio che la questura decise quindi di garantire manu militari ai nazisti – giunti in pullman da fuori regione – a suon di cariche, manganellate e teste rotte.

La scelta di quel giorno la rivendichiamo collettivamente: la nostra posizione antifascista e quella indisponibilità a tollerare fasci e nazisti nostrani e non. vogliamo dare un aiuto concreto alle nostre compagne e compagni inquisite e trascinati in tribunale.

Ci vediamo sabato 11, per una giornata in compagnia, con musica, discussione e allegria.

LINE UP
Piccolaggiunta (alternative rock)
https://www.facebook.com/Piccolaggiunta/

Corpi Contundenti
(alternative rock/stoner)

Samsation
(psychedelic rock)
https://www.youtube.com/watch?v=edo9Zu2DSBs

Minoranza di uno
(punk hardcore)
https://www.youtube.com/watch?v=LF4ClxOeuUg
DJ SET w/ Cannibal se/lecter + Barbara Loden
https://www.facebook.com/cannibalselecter



PIAZZA LIBERT
À, 24 OTTOBRE 2020: QUANDO LO STATO AUTORIZZA IL NEOFASCISMO E ATTACCA LA SOLIDARIETÀ

Da più di due anni, Piazza Libertà vede l’attività quotidiana di accoglienza organizzata dall’associazione Linea d’Ombra nei confronti delle persone migranti provenienti dall’inferno della rotta balcanica. Questo fatto, e non altro, è stato il motivo per cui il 24 ottobre 2020 diversi gruppuscoli neofascisti e neonazisti decisero di mettere in atto proprio in quella piazza una provocatoria manifestazione contro l’immigrazione. Non furono poche le voci che, da tanti luoghi diversi, segnalarono che fosse quanto meno inopportuno lo svolgimento di un tale evento. Ma la Questura di Trieste, la stessa che da mesi, con l’inestimabile contributo del Comune, caccia fuori dal centro città qualsiasi manifestazione politica, non ascoltò nessuna di quelle voci e autorizzò il comizio neofascista in Piazza Libertà.

Da prima dell’appuntamento, diverse decine di persone si riunirono nella piazza per opporsi, con i loro corpi e le loro voci, all’evento. La resistenza fu tale che soltanto le violente cariche della polizia riuscirono a scacciare i e le solidali dal centro della piazza. I vertici della questura dimostrarono così quanto fosse importante per loro permettere che i neofascisti si esprimessero in totale libertà. Infatti, per tutto il comizio, mentre venivano proferiti slogan xenofobi, antisemiti e razzisti, la polizia scortò i pochi che ascoltavano i vomitevoli discorsi.

A posteriori, nel fascicolo del Pubblico Ministerio, sarebbe stato riconosciuto l’”errore” di quella autorizzazione. Ma poco importa, chi quel giorno alzò il manganello contro le persone solidali radunate in piazza – mandando in ospedale diverse di loro – non subirà nessuna conseguenza. Basta guardare indietro, anche solo superficialmente, alla storia italiana, per convincersi che la spudorata impunità dei poliziotti per le loro aggressioni a persone inermi è una pratica strutturale di questa democrazia.

Lo Stato si impegna invece per punire chi resiste al neofascismo. Così lo scorso dicembre è arrivata la notizia che la procura ha operato una scrematura, a partire da un fascicolo preliminare di 58 indagati, fino ad individuare otto imputati. La settimana prossima inizierà l’infame processo che cercherà di far pagare a queste persone la scelta collettiva di difendere Piazza della Libertà e tutto quello che in questi anni ha significato e continua a significare – anche grazie a quella giornata di lotta antifascista e antirazzista.

La solidarietà – verso le persone imputate, verso chi ricevette le manganellate, verso chi ogni giorno lavora in quella piazza e, soprattutto, verso chi subisce in prima persona la violenza dei confini – è la nostra principale arma per resistere. Solidarietà vuol dire certo soldi, per pagare le spese legali imposte dalla burocrazia giudiziaria, ma anche compagnia, supporto, condivisione dei momenti più duri della repressione e di quelli più belli delle vittorie, grandi o piccole che siano.