Abbattere il coprifuoco si può!

Sabato sera a Trieste più di un centinaio di persone hanno scelto di violare il coprifuoco. Un corteo selvaggio è partito alle 22 per muoversi nella strade della città: è stata la prima volta che qualcun* ha deciso di organizzarsi per rompere il dispositivo di controllo e di guerra del coprifuoco, motivato da ragioni tutt’altro che sanitarie.

Nonostante la presenza di figure più o meno note che raccattano voti con facili discorsi sulla pandemia, la maggior parte delle persone scese in piazza si è trovata per opporsi all’assurdità della misure autoritarie del governo.

Un corteo vivo ed acceso, che al grido LIBERTÀ ha rotto quella che sembrava la più inviolabile delle misure. Un grido di libertà intonato da giovani, precari e proletari che hanno deciso di dire basta allo stato di polizia che avanza.

La digos cacciata a male parole, la libertà del gesto semplice di liberazione, la musica, le discussioni sulle multe e i controlli ci restituiscono il segnale di una ribellione che avanza. Non contro l’epidemia in sé, ma contro lo stato di polizia che la gestisce.

Il coprifuoco è l’ennesima misura meramente repressiva che viene calata dall’alto su di noi. Perciò scendiamo in piazza e, con i nostri corpi, abbattiamolo.

Da Trieste alla Valsusa, la lotta continua!

Venerdì 16 aprile alcune/i compagne e compagni hanno raggiunto la Val di Susa per unirsi al campeggio resistente NoTav lanciato dopo i fatti di inizio settimana scorsa.
Nella notte tra lunedì e martedì, infatti, un migliaio di sbirri si sono riversati ancora una volta nella valle, questa volta per sgomberare manu militari il presidio all’ex Autoporto di San Didero inaugurato a metà dicembre. 
In barba a tutti i discorsi che da un anno sentiamo riguardo l’epidemia, le restrizioni agli spostamenti e agli assembramenti e sul coprifuoco, nottetempo un vasto dispiegamento di forze del disordine si è presentata per strappare i terreni della valle destinati al nuovo Autoporto vicino ai comuni di San Didero, Bruzolo, Bussoleno, San Giorio.
Dopo una notte di fronteggiamenti, alcuni NoTav sono riusciti a resistere sul tetto, mentre rapidamente operai e mezzi recintavano distruggendo i terreni sottratti. 
La risposta della valle è stata immediata, tra presidi e manifestazioni, culminata in un corteo altamente partecipato (oltre 4000 persone) e i diversi saluti ai resistenti.
Durante l’ultimo di questi saluti le truppe d’occupazione hanno risposto con violenza, tra idranti e lanci di lacrimogeni ad altezza uomo. In questo frangente Giovanna, una compagna NoTav, è rimasta gravemente ferita da un candelotto che l’ha colpita in faccia provocandole varie fratture al volto e due emorragie cerebrali.
Non è la prima volta che si  verifica un episodio di questa gravità in val di Susa. Soltanto qualche giorno prima, un altro militante NoTav aveva infatti riportato ferite alla testa in seguito all’impatto con un lacrimogeno.
Sparare lacrimogeni ad altezza uomo è una pratica che le truppe di occupazione utilizzano purtroppo da molti anni, causando nel tempo diversi ferimenti gravi come la perdita di un occhio e svariate fratture al volto e alla testa. A differenza di quanto riportato a livello mediatico, non si è trattato di un incidente, quindi, ma di un deliberato attacco delle forze dell’ordine. 
Oltre a ciò, una volta in ospedale, la compagna ha dovuto anche subire il comportamento indecente di un’operatrice, che ha tentato di colpevolizzarla e poi un tentativo di interrogatorio da parte della Digos, nuovamente a sfregio di ogni protocollo sanitario vigente anche a causa della pandemia.
È dalla notte dello sgombero che la polizia prova ad allontanare con azioni del genere chi difende questa terra.
A Giovanna, ai resistenti ed al movimento NoTav va tutta la nostra solidarietà e complicità.
*****

–> Prossime iniziative: SABATO 24 APRILE 2021 ORE 17:30 – MOMENTO INFORMATIVO SUI LAVORI PER IL NUOVO AUTOPORTO DI SAN DIDERO https://www.facebook.com/events/772294050087273/

–> Altre info: https://www.notav.info

A SARÀ DÜRA!

Pasqua 2021, esempio paradigmatico della gestione pandemica

A oltre un anno dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, constatiamo che molte cose sono cambiate. Alcune, invece, sono rimaste esattamente le stesse: la più vistosa è che il dogma della produzione e del mercato (ovvero, in parole povere: i profitti delle grande aziende sono la priorità assoluta) è ancora la bussola che guida le principali politiche del governo italiano. Nonostante sia sempre più evidente che sia stato proprio questo dogma ad aver, non creato, ma fatto esplodere la pandemia, in un primo momento, poi ad averla resa una strage a causa di un sistema sanitario ridotto all’osso e infine una crisi sociale senza alcun precedente, con il sistema sociale del tutto incapace di rispondere universalmente alla domanda di reddito (che sia di chi lavora in cassa integrazione, di chi ha un piccolo commercio ed è impossibilitato a lavorare, di chi è in disoccupazione, di chi è precario, sempre più espulsi ai margini del mercato del lavoro).

Tempo fa cercammo di fare una cronaca della strage che era in corso, con ospedali e case di riposo al collasso mentre Confindustria strombazzava per le aperture totali  e il mantenimento della produzione ad ogni costo. Ci vollero gli scioperi spontanei degli/lle operai/e a rendere evidente l’esigenza che i luoghi di lavoro fossero resi sicuri e quindi ripensati per tutelare la salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Gli affari, come sempre, dovevano andare avanti, e tutto riprese come prima, con il sacrificio deciso da governo e Confindustria di chi era costretto a lavorare e di precisi settori sociali.

Oggi ci troviamo nella medesima situazione, anche se in una forma più spudorata: lockdown totale del cosiddetto tempo libero, se si esce da casa è per andare a lavorare. Quello che però ci sembra cambiato è l’atteggiamento generale. Se inizialmente le restrizioni sortivano un effetto immediato e tangibile, svuotando le strade e i luoghi di ritrovo, un anno dopo quelle stesse restrizioni appaiano sempre più vuote. Vediamo così, in piena zona rossa, che tante persone decidono di forzare i limiti delle interpretazioni di legge. Noi crediamo che uno dei principali motivi di questo cambiamento nei comportamenti è la percezione crescente, più o meno consapevole, che insieme agli scopi sanitari (diminuire i contagi e le morti, principalmente) le misure anti-covid sono guidate anche da un tentativo di puro controllo sociale. Non si spiegherebbero altrimenti ridicole misure come quelle imposte per lo scorso weekend di Pasqua: poliziotti dispiegati per assicurarsi che le persone si spostassero soltanto per andare a rinchiudersi con amici e parenti in spazi chiusi, e per reprimere qualsiasi iniziativa all’aria aperta — infinitamente più sicure da un punto di vista sanitario. Così, nel brulichio di micro-pratiche di resistenza allo stato pandemico, rimangono a girare a vuoto gli sbirri, costretti ad affacendarsi per assegnare arbitrarimente le loro multe.

Se all’inizio il virus sembrava insomma un’entità astratta e assoluta, ora l’esperienza ci insegna quanto la pandemia sia in realtà un fatto naturale e sociale al tempo stesso. Sorridiamo quindi complici alla persona che si siede su una panchina a prendere un po’ di sole, al gruppetto di ragazzi che si trova al parco, all’anziano che si beve un bicer. Con tante sfumature, si tratta perlopiù di situazioni a basso rischio sanitario:  stanno all’aria aperta, come è giusto che sia, dove gli stessi spazi permettono il distanziamento necessario per evitare i contagi.

A questo diffuso evento di insubordinazione all’assurdità del potere, dovremmo forse aggiungere alcuni elementi. La critica di questi dispositivi – il coprifuoco, la chiusura forzata in casa, le assurde possibilità di andare all’estero, ma non ad esempio in campagna – ha bisogno di rendersi una forza che sia in grado di scalfire l’impianto governativo. Dovremmo parlare dei vaccini (di come vengono prodotti; del loro significato per proteggere la popolazione più fragile, cosa tutt’altro che al primo posto nel piano militare che hanno organizzato), di come si distribuisce la ricchezza in questa situazione, delle spese militari che crescono vertiginosamente, della sanità e della cura di fronte ad una pandemia. Per ora ci consola l’intesa che troviamo sempre più spesso in strada, che potrà divenire solidarietà preziosa quando i nodi di questa assurda situazione verranno al pettine.