Archivi categoria: Repressione

La lotta è una sola

Veniamo a conoscenza in questi giorni di due mosse repressive da parte delle istituzioni statali, attacchi sferrati contro persone e soggetti collettivi che, con diverse modalità, lottano quotidianamente contro l’autoritarismo che pervade sempre di più le nostre vite e si spendono per cambiare lo stato presente delle cose. Non possiamo che ringraziarli ed esprimere la nostra solidarietà e la nostra vicinanza verso di loro.

– sulla spropositata condanna a Juan a 28 anni di carcere accusato di un attacco presso una sede della Lega:
https://ilrovescio.info/2022/07/14/col-sangue-agli-occhi/
https://ilrovescio.info/wp-content/uploads/2021/02/Pieghevole-Juan-def..pdf
– sul processo aperto contro centinaia di militanti del centro sociale Askatasuna (Torino) e del movimento No TAV, sotto accusa di associazione sovversiva: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/07/13/costruire-il-nemico-askatasuna-i-no-tav-il-conflitto-sociale/

La lotta è una sola, e va combattuta assieme!

SULL’OPERAZIONE REPRESSIVA IN TRENTINO E LE NUOVE MISURE CAUTELARI

 

Veniamo a sapere dell’ennesima operazione repressiva contro anarchiche e anarchici del trentino: con i soliti pretesti da burocrati giudiziari, vengono comminate 4 misure cautelari, su fatti la cui unica congiunzione sembrerebbe la lotta anticarceraria.

Oltre le squallide motivazioni degli oppressori e del sistema che li difende, sappiamo intravedere, ancora una volta, i fili della vendetta di stato contro chi lotta e non si pacifica nello stato di guerra in cui siamo. Rinchiudere, e rinchiuderci, è ormai l’obiettivo neanche troppo celato.

Un caloroso abbraccio alle persone colpite da questa ennesima operazione. Solidarietà e complicità con chi lotta!

Alcuni/e compagni/e di Trieste – Collettivo Tilt

https://ilrovescio.info/2022/02/26/trentino-operazione-repressiva-e-nuove-misure-contro-anarchici/

In piazza libertà il 24 ottobre 2020 c’eravamo tutti/e

Nelle scorse settimane è stata recapitata ad alcune persone la notifica della conclusione delle indagini preliminari per i fatti di Piazza Libertà del 24 ottobre 2020, con vari capi d’accusa, e proprio in questi giorni sta venendo notificata la fissazione della prima udienza per il 13 giugno 2022.
Piazza Libertà da due anni vede l’attività quotidiana di accoglienza e solidarietà dell’associazione Linea d’Ombra nei confronti delle persone migranti provenienti dall’inferno della rotta balcanica. Per questa ragione era stata scelta da gruppi neofascisti e neonazisti per una provocatoria manifestazione contro l’immigrazione.
La manifestazione, nonostante le numerose prese di posizione dei giorni precedenti, che la ritenevano inopportuna, ancor più in quel luogo, come riconosciuto a posteriori anche nel fascicolo dal Pubblico Ministero, veniva in ogni caso autorizzata dalla questura.
Il 24 ottobre, a partire dalle ore 17, si era quindi spontaneamente radunata una grande folla di persone solidali attorno al presidio quotidiano di Linea d’Ombra. Verso le 18, la polizia ordinava lo sgombero della piazza, che poco dopo avrebbe eseguito con violenza. Al termine dello sgombero tra i solidali si contavano alcuni feriti, diversi dei quali hanno dovuto ricorrere alle cure ospedaliere.
Dopo aver sgomberato quindi la piazza dai resistenti, spingendoli nella strada (tra l’altro, nemmeno chiusa al traffico), nella piazza vuota confluiva il manipolo di fascisti, scortati dalla polizia, liberi adesso di affermare le loro parole di odio, antisemitismo, xenofobia.
A seguito di questi fatti la procura, in questa fase preliminare, ha operato una scrematura, a partire da un fascicolo iniziale di 58 indagati, fino ad individuare otto imputati che ora rischiano di pagare per tutte e tutti la scelta, collettiva, di difendere Piazza della Libertà e tutto quello che in questi anni ha significato e continua a significare – anche grazie a quella giornata di lotta antifascista e antirazzista.
Da quella giornata è rifiorita la solidarietà verso chi quella piazza la vive e la attraversa ogni giorno, da là sono nati percorsi nuovi di solidarietà e mutualismo, come TRAMA.
Piazza Libertà è diventata un simbolo e una pratica di resistenza alla politica violenta e antimigratoria dell’Unione Europea, che continua a mietere vittime, e ad aggravarsi ulteriormente, come vediamo in questi giorni con la situazione dei confini tra Polonia e Bielorussia, nel Mediterraneo, nel canale della Manica.
Esprimere solidarietà e dare supporto concreto alle persone che migrano significa denunciare e opporsi alle politiche occidentali predatorie e di devastazione in vaste regioni del mondo, ma non solo, significa anche affermare la necessità di opporsi all’autoritarismo degli Stati, oggi sempre più aggravato in nome di un emergenzialismo costante.
Esprimiamo quindi la nostra solidarietà e sostegno alle persone indagate rigettando ogni tentativo di divisione tra manifestanti “buoni” e manifestanti “cattivi”. In quella piazza c’eravamo tutti, e tutte insieme abbiamo resistito allo sgombero e alla violenza della polizia. Per questo annunciamo che intraprenderemo iniziative di solidarietà nei confronti degli otto denunciati.

Assemblea no cpr no frontiere – FVG
Casa delle Culture
COBAS Trieste Gorizia
Collettivo Tilt
GAS Pacha
Gruppo Anarchico Germinal
Linea d’Ombra
Mediterranea Trieste
Sinistra Anticapitalista Trieste
Strada Si.Cura

Al fianco del popolo colombiano, contro il massacro dello Stato

Lo scorso 6 maggio, la comunità colombiana di Trieste è scesa in piazza per denunciare l’indifferenza della comunità internazionale e dell’Unione Europea riguardo la gravissima situazione che si sta vivendo in Colombia in questi giorni.

L’emergenza del COVID-19 ha rappresentato una parentesi nell’onda di mobilitazioni che scosse la Colombia alla fine del 2019. Un anno dopo, con la disoccupazione al 20%, il tasso di povertà in aumento, la passività e spesso connivenza del governo davanti ai gruppi paramilitari e i narcos e l’avanzamento del potere delle multinazionali nei territori, sono tornate le proteste contro il governo di estrema destra di Iván Duque Márquez. La scintilla che ha fatto esplodere la rabbia sociale è stata una riforma fiscale (avvallata dal FMI) che pretende di fare uscire la Colombia dalla crisi economica che la colpisce, aumentando le tasse alla classe media e lavoratrice del Paese.

Così, il 28 aprile, decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici, studenti, contadini, indigeni e afrocolombiani sono scesi in piazza per un nuovo «paro nacional» (sciopero generale), contro la politica economica del governo, la sua gestione della pandemia e la perenne violenza da parte della polizia. A differenza delle manifestazioni passate, in questa occasione le proteste sono andate ben oltre le grandi città come Bogotá, Cali o Medellín, diffondendosi in quasi tutto il Paese.
Nonostante Duque sia stato costretto a ritirare la riforma, i motivi non mancavano e le proteste non si sono fermate. La risposta del governo è stata — purtroppo — coerente con la storia di uno Stato troppo ben allenato alla repressione. Soprattutto nelle grandi città, la polizia ed i militari hanno utilizzato la violenza armata contro i manifestanti, che protestavano in modo prevalentemente pacifico. Negli ultimi giorni diverse organizzazioni in difesa dei diritti umani hanno informato di cifre raccapriccianti riguardo l’operato delle forze dell’ordine e dell’esercito: più di 50 persone assassinate, decine di casi confermati di violenza sessuale e centinaia di desaparecidos. Questi dati rappresentano soltanto la parte visibile di una escalation di violenza da parte dello Stato che continua oggi.
Noi siamo e saremo al fianco delle comunità colombiane che in questi giorni denunciano il massacro del loro popolo da parte di uno Stato repressore e la passività dell’Unione Europea davanti a una situazione del genere. 
#Soscolombia #nosestanmatando

Abbattere il coprifuoco si può!

Sabato sera a Trieste più di un centinaio di persone hanno scelto di violare il coprifuoco. Un corteo selvaggio è partito alle 22 per muoversi nella strade della città: è stata la prima volta che qualcun* ha deciso di organizzarsi per rompere il dispositivo di controllo e di guerra del coprifuoco, motivato da ragioni tutt’altro che sanitarie.

Nonostante la presenza di figure più o meno note che raccattano voti con facili discorsi sulla pandemia, la maggior parte delle persone scese in piazza si è trovata per opporsi all’assurdità della misure autoritarie del governo.

Un corteo vivo ed acceso, che al grido LIBERTÀ ha rotto quella che sembrava la più inviolabile delle misure. Un grido di libertà intonato da giovani, precari e proletari che hanno deciso di dire basta allo stato di polizia che avanza.

La digos cacciata a male parole, la libertà del gesto semplice di liberazione, la musica, le discussioni sulle multe e i controlli ci restituiscono il segnale di una ribellione che avanza. Non contro l’epidemia in sé, ma contro lo stato di polizia che la gestisce.

Il coprifuoco è l’ennesima misura meramente repressiva che viene calata dall’alto su di noi. Perciò scendiamo in piazza e, con i nostri corpi, abbattiamolo.

Sul 3 novembre e la repressione

Il 3 novembre 2018 si sono svolte due importanti manifestazioni in regione: una antimilitarista a Gorizia contro le celebrazioni di una guerra fratricida e sanguinaria, una antifascista a Trieste contro la sfilata dei neofascisti di Casapound. Entrambe con l’obiettivo di combattere la narrazione tossica dell’esaltazione della nazione, della patria, del mito del “bravo italiano”, del macho eroe italico, narrazione che si è fatta strada in questa terra di confine creando terreno fertile per nuovi rigurgiti fascisti. Molte compagne in quella giornata si sono riversate nelle strade, mettendo in campo i propri corpi, gli strumenti e le pratiche di lotta che più ritenevano opportune per contrastare il lerciume guerrafondaio, nazionalpatriottico e neofascista che stava strisciando nelle due città, per urlare che la guerra fa schifo, quella di ieri come quella di oggi. Una guerra che continua ad essere alimentata da armi prodotte anche in questa regione.

Anche noi siamo scese per gridare che la guerra faceva schifo pure a quelli che oggi vengono chiamati eroi ma che non sono stati altro che carne da cannone; che quelli che si considerano nuovi eroi e vogliono marciare lungo le vie della nostra città col petto in fuori e il braccio teso vanno fermati.

Ma lo Stato si crogiola in queste narrazioni, gli sono necessarie per giustificare la produzione e la vendita di armi, gli interventi militari e neocoloniali, la violenza dei respingimenti alle frontiere, lo sfruttamento di persone migranti basato sul ricatto del permesso di soggiorno. E se tutto ciò viene attaccato lo Stato risponde con la repressione: cinque le denunce a Trieste per travisamento e manifestazione non autorizzata (il processo si è aperto l’8 marzo 2021, appena due giorni fa); quattro i decreti penali di condanna, emessi nell’ultima settimana con la richiesta di un pagamento di quasi 11.000 euro per manifestazione non autorizzata, imbrattamento e accensioni pericolose di materiale pirotecnico per il corteo di Gorizia.

Esprimiamo piena solidarietà a tutte le compagne coinvolte, la repressione non fermerà le nostre lotte.

Produci, confinati, crepa: note a margine del Primo Maggio 2020

Nella giornata di ieri la “Rete triestina per il 1° maggio 2020” ha lanciato una chiamata per invitare tutte e tutti a scendere in strada con un cartello o un altro messaggio visibile. «Vogliamo riprenderci lo spazio fisico, riconoscerci seppur distanziati e rompere l’isolamento del virtuale», recitava il comunicato. Ma l’obiettivo della giornata non era semplicemente appagare la voglia di ritornare in strada e ritrovare forme non virtuali di socialità: prima di ogni cosa si intendeva festeggiare il Primo Maggio, giornata dei lavoratori e delle lavoratrici, ricordandone i significati profondi e la sua traduzione nel tempo presente.

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– DI REPRESSIONE, DI CONTENIMENTO, DI ZONE ROSSE

Di repressione, durante ma soprattutto al termine dell’attuale emergenza sanitaria, sarà necessario e imprescindibile discutere.

La gestione politica dell’epidemia di coronavirus da parte dei governi nazionali ha infatti già fatto esplodere la violenza poliziesca e porterà inevitabilmente con sé tangibili conseguenze giudiziarie.

Le lotte sociali che si stanno condensando nei luoghi di massima densità del conflitto (carceri, CPR, fabbriche rimaste aperte grazie alla pressione di quegli assassini di Confindustria – strage che abbiamo analizzato in profondità nel nostro precedente testo [1] -, ora perfino supermercati) rappresentano il piano di osservazione privilegiato di questo fenomeno. Qui, lo Stato è intervenuto con l’aggressività tipica di chi è consapevole che la situazione non è sotto controllo, menando e ammazzando dove possibile [2]; se ne sarà capace, lo stesso Stato non tarderà a celebrare nei tribunali lo spettacolino dei processi penali, per i protagonisti di queste lotte.

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– RIMANDIAMO LA PRESENTAZIONE DI “STOP AL PANICO!” – I PERCHÉ DI UNA SCELTA

[vi ricordiamo che potete seguire le nostre iniziative, attività, ecc anche sul canale Telegram https://t.me/sullabreccia]

Ci siamo confrontati in modo articolato in questi giorni su cosa fare – vista l’ordinanza regionale che vieta qualsiasi manifestazione e incontro pubblico per via dell’allarme sul coronavirus – rispetto alla presentazione del 28 febbraio di “Stop al panico! Manuale di autodifesa dalla repressione” alla presenza degli autori dell’Associazione di mutuo soccorso di Bologna. A maggior ragione per i temi che volevamo affrontare: repressione e sicurezza.

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