Produci, confinati, crepa: note a margine del Primo Maggio 2020

Nella giornata di ieri la “Rete triestina per il 1° maggio 2020” ha lanciato una chiamata per invitare tutte e tutti a scendere in strada con un cartello o un altro messaggio visibile. «Vogliamo riprenderci lo spazio fisico, riconoscerci seppur distanziati e rompere l’isolamento del virtuale», recitava il comunicato. Ma l’obiettivo della giornata non era semplicemente appagare la voglia di ritornare in strada e ritrovare forme non virtuali di socialità: prima di ogni cosa si intendeva festeggiare il Primo Maggio, giornata dei lavoratori e delle lavoratrici, ricordandone i significati profondi e la sua traduzione nel tempo presente.

Queste erano le motivazioni che hanno mosso la piazza di ieri. Ma allora perchè i giornali locali e nazionali parlano soltanto di scontri fra polizia e “centri sociali”? Al centro del dibattito riguardante la giornata di ieri, è stata posta infatti una vicenda che è durata pochi minuti, rispetto alle circa tre ore in cui Campo San Giacomo si è riempito di persone e di contenuti politici di vario tipo. I video e le foto sono lì a testimoniarlo (guarda qui), e la dinamica risulterà chiara a chiunque non guardi con occhi fanatici: la polizia, con argomenti pretestuosi, ha mosso una chiara provocazione ad una piazza fin lì calma e sicura, cercando di togliere uno striscione tenuto da tre persone ben distanziate. Non gridavano nessuno slogan, non distribuivano volantini, non facevano discorsi al megafono, non avevano alcun simbolo di partito, associazione o collettivo: tenevano unicamente un lenzuolo con scritto “IL VIRUS UCCIDE, IL CAPITALISMO DI PIÙ”. È probabile che la mossa dei poliziotti sia stata frutto della necessità di soppesare le forze presenti in campo: tentare con uno striscione per poi disperdere un’intera piazza. Ma le presenti non hanno esitato a reagire al sopruso ed  hanno deciso di difendere la propria libertà di esprimere un messaggio. È iniziato così un tira e molla abbastanza ridicolo tra alcun* presenti e forze dell’ordine, che alla fine si sono tenute lo striscione. Il tutto è durato meno di cinque minuti, un tempo sicuramente non sufficiente perché i contatti personali aumentassero significativamente le probabilità di contagio, ma sufficiente invece per fare capire che quella piazza non poteva essere dispersa con facilità e garantendo così la serenità del presidio per le restanti ore.

A livello mediatico ci par chiaro che il tentativo principe, magari anche mosso dalle solite logiche scandalistiche spinte dal clickbait, sia stato quello di sviare dai contenuti e dalla composizione stessa della piazza, come se i manifestanti – a differenza di commercianti e altri soggetti che pur si stanno muovendo, ma con i favori di una narrazione che li rappresenta come particolarmente colpiti dalla crisi – non avessero la stessa dignità di lavoratori/trici o disoccupati/e e lo stesso portato di sofferenza materiale e sociale. Non erano più lavoratori/trici, persone colpite dalla crisi, soggetti che rivendicavano una propria libertà gestendosi la propria sicurezza, ma antagonisti e attaccabrighe. Qua è intervenuto anche un dispositivo retorico che si è affermato negli ultimi anni, che ha spostato il senso della giornata dei lavoratori/trici verso una giornata generica dedicata al lavoro. Così, gente come il presidente della regione Fedriga – che, ricordiamo, regalava skypass a fine febbraio perché il turismo non poteva fermarsi – ha potuto attaccare frontalmente i manifestanti senza smentita.

In un contesto normale quelle dichiarazioni dovrebbero passare come gravissime: un politico con il culo parato che si permette di fare la morale a persone sfruttate e precarie che manifestano per i propri diritti e quelli di chi si trova in situazioni analoghe. Ma forse, per privilegiati del genere, era più utile la caciara: tutto per non dare delle risposte chiare su dove siano, per esempio, gli assegni della cassa integrazione in deroga, su cui l’Assessore competente balbetta qualcosa (leggi qui).

Come noi, centinaia di precar*, sfruttat*, disoccupat* sono scesi in piazza in queste settimane per rivendicare reddito, salute, libertà, ecc (ad esempio i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo e della cultura, vedi qui). Consideriamo reale la minaccia dell’epidemia, non la sottovalutiamo ed anzi ci siamo interrogati sulla reale efficacia sanitaria delle misure intraprese per arginare i contagi: serviva la caccia ai runner? Cosa facevano gli elicotteri sulle nostre teste? Dove si spargeva il virus se non nelle case, nelle rsa, nei luoghi di lavoro dove eravamo murati? Qualcuno stava affrontando seriamente la questione o si erano preferite generiche misure a pioggia sulla popolazione? Si stava investendo in respiratori, assistenza domiciliare, tamponi?

Lungi da noi vanificare gli sforzi che tutt* noi stiamo facendo, ma serve chiarezza su un punto: la responsabilità non passa per la repressione dei manganelli e la fedele adesione a qualsiavoglia misura, ma sulla *bontà* delle informazioni, la fiducia tra noi, l’autogestione, la solidarietà. Infatti, nelle ultime settimane, siamo stati attenti alla nostra e altrui salute e, anzi, abbiamo cercato di aiutare altre persone, più a rischi di noi, perché potessero essere sicure nelle loro case link 1, link 2, link 3).

Non dimentichiamo però chi ha veramente vanificato le misure di contenimento (leggi qui). E non dimentichiamo neanche chi ha privatizzato la sanità pubblica, chi l’ha resa esclusiva a tal punto che mancano ora sistemi di cure così basilari come i ventilatori, chi ha lasciato morire le persone anziane nelle case di riposo.

Solidarietà a tutte le persone colpite dagli indecenti attacchi dei politicanti locali; a chi si è vista comminare multe nella giornata di ieri, per flash mob, micro-iniziative, per Campo San Giacomo, che niente stavano provocando in termini di contagio; a chi lotta e chi non si fa intimorire dallf’arroganza di polizia e ricconi.

Riuscire a stare in piazza ieri non era scontato. Se non siamo stat* sgomberat* con la forza lo dobbiamo solo alla nostra presenza decisa e consapevole. Non dimentichiamocene nei prossimi mesi: con la responsabilità e la lotta si può vincere e condividere momenti di gioia, libertà e giustizia. Con l’obbedienza cieca, invece, si rischia di rimanere schiacciat*.

Il Virus è lo Stato.