Il 3 novembre 2018 si sono svolte due importanti manifestazioni in regione: una antimilitarista a Gorizia contro le celebrazioni di una guerra fratricida e sanguinaria, una antifascista a Trieste contro la sfilata dei neofascisti di Casapound. Entrambe con l’obiettivo di combattere la narrazione tossica dell’esaltazione della nazione, della patria, del mito del “bravo italiano”, del macho eroe italico, narrazione che si è fatta strada in questa terra di confine creando terreno fertile per nuovi rigurgiti fascisti. Molte compagne in quella giornata si sono riversate nelle strade, mettendo in campo i propri corpi, gli strumenti e le pratiche di lotta che più ritenevano opportune per contrastare il lerciume guerrafondaio, nazionalpatriottico e neofascista che stava strisciando nelle due città, per urlare che la guerra fa schifo, quella di ieri come quella di oggi. Una guerra che continua ad essere alimentata da armi prodotte anche in questa regione.
Anche noi siamo scese per gridare che la guerra faceva schifo pure a quelli che oggi vengono chiamati eroi ma che non sono stati altro che carne da cannone; che quelli che si considerano nuovi eroi e vogliono marciare lungo le vie della nostra città col petto in fuori e il braccio teso vanno fermati.
Ma lo Stato si crogiola in queste narrazioni, gli sono necessarie per giustificare la produzione e la vendita di armi, gli interventi militari e neocoloniali, la violenza dei respingimenti alle frontiere, lo sfruttamento di persone migranti basato sul ricatto del permesso di soggiorno. E se tutto ciò viene attaccato lo Stato risponde con la repressione: cinque le denunce a Trieste per travisamento e manifestazione non autorizzata (il processo si è aperto l’8 marzo 2021, appena due giorni fa); quattro i decreti penali di condanna, emessi nell’ultima settimana con la richiesta di un pagamento di quasi 11.000 euro per manifestazione non autorizzata, imbrattamento e accensioni pericolose di materiale pirotecnico per il corteo di Gorizia.