Non stupiremo nessuno se affermiamo che la classe imprenditoriale occidentale, e più in particolare quella italiana, ha messo e continua a mettere come priorità i profitti davanti alla salute e alle vite dei lavoratori e delle lavoratrici, e in generale dei cosiddetti “comuni cittadini” (leggasi classi popolari). Questa è infatti una necessità di quel sistema che alcun* di noi hanno l’abitudine di chiamare [abbassiamo la voce] capitalismo.
I casi che si possono citare a riprova sono innumerevoli: dalla strage del Vajont a quella di Viareggio, passando per la gestione criminale della pandemia di SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e gli innumerevoli casi di cronaca, tra cui quello recente dell’operaia tessile inghiottita da una macchina in una fabbrica di Prato, fino ad arrivare alle famiglie morte nella funivia del Montarone.
Grazie al trattamento mediatico che i principali giornali e tv fanno di questi avvenimenti, tendiamo a pensarli come a degli “incidenti”. Ma un incidente è un avvenimento inatteso, qui invece parliamo di morti evitabili. A volte si tratta di una procedura di controllo non rispettata da parte degli enti statali responsabili, a volte di un macchinario scadente, altre invece del dirigente aziendale (pubblico o privato, sempre più indistinguibili) che decide che la produzione deve proseguire, ad ogni costo. In tutti i casi però, l’aritmetica è la stessa: i soldi valgono più di certe vite. Certe vite che, fatalità, sono quasi sempre quelle di persone “comuni”. Di chi si spezza il corpo in fabbrica o altrove per un misero stipendio, di chi non ha soldi per permettersi una casa degna, servizi adeguati o uno stile di vita salutare. Non muoiono i dirigenti che prendono le decisioni fatali, ma chi sta in basso nella gerarchia della produzione. Non si ammalano i proprietari dell’azienda per le loro condizioni lavorative, ma chi è esposto quotidianamente a diversi pericoli sul posto di lavoro.
Questa strage, silenziosa e quotidiana, che ogni tanto balza alle cronache per la sua drammaticità, fa parte della “normalità” che esiste da prima del COVID-19. Una normalità che nemmeno una pandemia globale è riuscita ad alterare, anzi, la gestione della salute pubblica da parte degli Stati ha reso ancora più palese quali sono le priorità di chi ci governa: la produzione, ovvero i profitti dei grandi proprietari, e la messa a valore di ogni aspetto delle nostre vite.
Speriamo di contare ancora su un sistema sanitario che nonostante la classe politica riesca ancora a funzionare, ma purtroppo neanche esso scappa dalle logiche del mercato: lo abbiamo verificato tramite le conseguenze stragiste della privatizzazione in Lombardia e più recentemente dall’affidamento della produzione dei vaccini alle multinazionali del farmaco, per citare solo i due esempi più eclatanti.
Non dimentichiamo, in questi giorni di (amara) felicità per la ripresa di un‘apparente normalità, che si tratta in definitiva di una quotidianità sorretta dai caduti sul lavoro e dalle vittime collaterali delle loro imprese di morte.