Mentre governo e Regioni riaprono i luoghi della produzione e del commercio, il divieto di uscire all’aria aperta perdurerà almeno fino a maggio. Questa palese contraddizione non risponde ad alcuna evidenza scientifica: i luoghi chiusi, come fabbriche e supermercati, sono più a rischio di quelli all’aria aperta, come la gestione di questa emergenza ha fin troppo dimostrato. Da un lato siamo chiamati a produrre e consumare; dall’altro ci viene negato il diritto di intraprendere attività molto meno pericolose per la nostra e altrui salute. Nel frattempo, si profila all’orizzonte l’applicazione di tecnologie volte a tracciare e monitorare i nostri spostamenti. Ecco. Dobbiamo anticiparli, se non vogliamo subire, oltre alla crisi sanitaria, anche l’ulteriore deterioramento del nostro già logorato tessuto sociale. Quale data più evocativa del 25 aprile per lanciare insieme un coro di resistenza?
Lanciamo un appello a scendere in strada, nei nostri rioni, anche in violazione delle misure, ma sempre seguendo il principio di cautela per l’altrui e la nostra salute. E ognuno secondo le sua disponibilità. Alle ore 11:00 del 25 aprile. Da soli, in pochi, a gruppi distanziati, anche nei pressi di casa, con un cartello, della musica (canti partigiani, lettura di testi…) o qualsiasi altro segnale di disobbedienza.
Con un po’ di ingegno e immaginazione, autoorganizzando dal basso la nostra sicurezza: per portare un fiore ad un cippo partigiano, un saluto ai reclusi, un racconto di resistenza partigiana, una passeggiata d’evasione, un’azione contro chi ci vuole divisi e isolati.
Per non aspettare di avere il permesso di tornare nel mondo reale, per non soccombere alla paura dell’altro incitata da misure restrittive che si scontrano con ogni logica sanitaria. Contro la produzione bellica che non si è mai interrotta; in solidarietà con i detenuti in lotta e con chi è stato arrestato di recente per aver reagito all’arroganza poliziesca; contro la crisi economica che vediamo arrivare.
Non si tratta solo di affermare la responsabilità contro l’obbedienza, ma di dire chiaro e tondo che non accettiamo la divisione tra sacrificabili e salvabili; che le nostre vite non sono “dati da estrarre e da analizzare”; che le strade non possono essere dei corridoi da attraversare per andare a lavoro o al supermercato, ma devono tornare a essere luoghi di incontro; che non c’è salute senza relazioni di mutuo appoggio con gli altri e con la natura da cui dipendiamo.
Non vogliamo “convivere con le pandemie”, ma farla finita con l’organizzazione sociale che le crea.