Questo 25 aprile abbiamo voluto ricordare in un altro modo la Resistenza. Per una volta non siamo stati costretti a sentire le vuote liturgie della retorica di Stato, quella per cui il processo resistenziale è stato una sollevazione democratica di bravi cittadini ligi al loro dovere.
Ricordiamo le storie di ribelli in carne ed ossa, sui loro sentieri, sulle loro strade. Nei luoghi dove si assaltavano i centri del potere a suon di bombe a mano; si conducevano espropri; si faceva una battaglia corpo a corpo con il potere costituito (e le sue milizie, la polizia, i carabinieri che vi collaboravano).
In due parole, ricordiamo un’insurrezione.
Abbiamo portato un fiore, una parola, una presenza, in alcuni dei luoghi dove si ricordano gli insorti, i partigiani e i deportati della violenza nazifascista.
Tartini, Via Ghega
Il palazzo Rittmeyer, oggi sede di un conservatorio, nel 1944 fu trasformato nella Deutsches Soldatenheim, una foresteria per i militari tedeschi.
Il 22 aprile ‘44 venne attaccato con la dinamite dai partigiani, che uccisero cinque militari tedeschi. Il giorno dopo, si scatenò la rappresaglia nazista: 51 detenuti politici dal limitrofo carcere del Coroneo verrano prelevati, impiccati ed esposti lungo le scale del palazzo e sulla pubblica via.
Tra i ribelli barbaramente uccisi ricordiamo: Giulio Della Gala, 18 anni; Luciano Soldat, 18 anni; Marco Eftimiadi, 23 anni; Laura Petracco, 27 anni; Just Blazina, 43 anni, gappista (il cui fratello, anch’esso gappista, era stato giustiziato poche settimane prima nella rappresaglia del poligono di tiro di Opicina).
Narodni Dom
Dal 1907 fu la sede delle associazioni culturali ed economiche delle comunità “slave” di Trieste (sloveni, croati e cechi); più in generale fu un centro culturale molto vivo, con l’Hotel Balkan, sale lettura e un teatro.
Il 13 luglio del 1920 fu preso d’assalto da un gruppo di nazionalisti: bombe a mano e un incendio distrussero l’edificio e uccisero il farmacista Hugo Roblek, che per fuggire alla fiamme si gettò dalla finestra.
L’opera fu compiuta dai fascisti prima di prendere il potere: qua, più che altrove, il fascismo colpì con violenza le minoranze fin dai suoi albori.
Stazione/Silos, Via Flavio Gioia
Un bassorilievo di Talleri, sulla parete del Silos, ricorda i tanti prigionieri che venivano concentrati in questo luogo per essere deportati nei lager.
Durante l’occupazione nazista furono 1470 le persone deportate da Trieste e morte nei campi (compresa la Risiera): 937 civili, 421 partigiani, 76 militari.
Barcola
In Via del Boveto è presente una targa che ricorda l’uccisione del compagno Mario Mattiassich, detto Milan, assassinato dai nazifascisti il 13 febbraio 1945.
In seguito alla segnalazione di un confidente, l’Ufficio Politico Investigativo del Primo Reggimento Milizia Difesa Territoriale (in pratica, la Digos), si mise sulla tracce di Milan, già schedato nonché condannato a 8 anni di reclusione per reati politici nel 1930.
In seguito ad un appostamento, venne individuato a Barcola, dove – dopo alcuni spari di avvertimento – fu raggiunto da alcuni colpi di pistola.
Scuola Brunner
Anche qui un bassorilievo di Talleri ricorda le persone che venivano concentrate in questo luogo per essere poi deportate.
Via Bruni
Qui si trova una targa che ricorda tre combattenti. Si tratta di:
– Comandante Giusto (Just) Bortolutti, 36 anni, partigiano del Comando Città Trieste, facente capo al EPLJ (Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia)
– Karel Rabver, 22 anni, del Comando Città Trieste, anch’esso partigiano del Comando Città Trieste
– Livio Andretti, partigiano della Brigata Foschiatti di Giustizia e libertà.
Faro della Vittoria
Presso il faro di Trieste fu sancito l’accordo tra CVL e EPLJ: partigiani sloveni e italiani operarono nella zona congiuntamente contro i nazifascisti.
Concludiamo con una carrellata di cartelli e scritte comparse a Trieste in giornata: