L’epidemia da COVID-19 e le conseguenti misure di distanziamento sociale hanno portato un forte stravolgimento nelle vite di tutti, soprattutto per quanto riguarda il lavoro. Grazie ai primi risultati del nostro questionario (qui), vi proponiamo una panoramica a volo d’uccello di ciò che abbiamo finora raccolto. Abbiamo subito notato che l’elemento accomunante condizioni, preoccupazioni ed esigenze tra i/le lavoratori/trici è quello della tipologia di contratto. È dunque questa la suddivisione che abbiamo scelto per illustrare i primi dati raccolti, suddivisione che consideriamo interessante anche come base per una riflessione sull’attuale mondo lavorativo, al di là della contingente emergenza epidemica.
Intanto, rivolgiamo un grazie a chi ha dedicato qualche minuto alla compilazione del sondaggio, e un invito a partecipare a coloro che non l’abbiano ancora fatto. Ricordiamo che il nostro scopo non è fornire un’esatta statistica della situazione lavorativa italiana (non possediamo gli strumenti, e non ci interessa farlo), ma raccogliere le voci spesso inascoltate di chi sta vivendo un disagio sul lavoro, provando a porre pubblicamente il tema dello sfruttamento. A questo proposito, cogliamo l’occasione per segnalare che stiamo anche portando avanti delle interviste sul tema Lavoro/Covid-19. Se hai voglia di raccontarci la tua storia, o qualche riflessione che hai fatto, scrivi un messaggio a collettivotilt@gmail.it oppure alla nostra pagina facebook. Per tutelare la tua privacy, pubblicheremo la tua testimonianza in forma anonima e ometteremo ogni dettaglio che possa identificarti.
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UNA PRIMA ANALISI
Contratti a tempo indeterminato
Per quanto riguarda il reddito, nessuna persona raggiunta con questo tipo di contratto ha smesso di percepirlo, anche se un quinto sul totale degli intervistati guadagna meno di prima (cassa integrazione, smart working, ferie forzate e malattia). Un piccolo gruppo di questi stima di non riuscire a sopravvivere per più di 3 mesi in queste condizioni. Dei restanti, la maggior parte guadagna la stessa cifra di prima, e qualcuna perfino un po’ di più (una cassiera ed una educatrice).
In questa categoria, le preoccupazioni più forti sembrano riguardare la gestione dei figli a casa e la tutela della salute sul posto di lavoro.
Molte persone con familiari a carico riportano di avere problemi nella gestione della vita quotidiana (coordinare lavoro e cura dei figli, soprattutto se non autonomi) e problemi con la didattica a distanza (riportiamo alcuni commenti: “La didattica a distanza può avvenire se l’alunno ha la corretta dotazione tecnologica ed è autonomo nell’utilizzo”; “Un solo pc e due figli che fanno scuola online. Professori che usano troppe piattaforme, troppa disorganizzazione”).
Per quanto riguarda la tutela sanitaria, un terzo del totale dichiara che i dispositivi e le misure di protezione fornite sul luogo di lavoro sono inadeguate, mentre qualcuno ne segnala la completa assenza. Riportiamo il commento interessante di una lavoratrice appartenente al settore bancario con incarico front-office, residente in una delle aree più colpite dal virus: “Io vorrei non andare a lavorare per espormi ed esporre gli altri al plausibile contagio. Ma non posso. Se dovessi scioperare, nella mia categoria, considerata bene di prima necessità, rischierei il licenziamento in tronco. Non mi sento sicura nell’ambiente lavorativo e a stare a stretto contatto con i colleghi”.
Contratti a tempo determinato
Per i lavoratori con contratto a tempo determinato, la situazione è vissuta con ancor più preoccupazione. Anche qui, tra coloro per cui le condizioni lavorative sono invariate, preoccupano le misure di tutela alla salute sul posto di lavoro, considerate scarse o inadeguate. Per tre quarti di questi le condizioni di lavoro sono cambiate: chi è stato messo in ferie forzate, chi si è fatto mettere in ferie per poter gestire i propri figli a casa, chi può lavorare in smart working, chi invece non sta più lavorando. Di questi ultimi, qualcuno è stato licenziato, qualcun altro ha un contratto a scadenza annuale presso un ente pubblico e può sperare di ricevere un salario ancora per qualche mese, fino a scadenza. In genere, c’è una preoccupazione diffusa sul futuro dopo la scadenza del contratto. Riportiamo il commento di un insegnante precario che ben riassume il quadro: “Al momento continuo a lavorare ma il mio contratto scadrà a giugno e sarà allora che dovrò affrontare la situazione: avrò la disoccupazione ma i concorsi che si prevedevano sono tutti saltati o rinviati sine die [N.d.R: probabilmente si terranno ad ottobre], il che significa che il mio stato di precariato presumibilmente durerà ancora a lungo”. Tra chi non percepisce più un salario, c’è chi dichiara di poter vivere con i propri risparmi personali qualche mese, chi invece non ha ulteriori risorse ed è molto preoccupato per il periodo a venire. Altri commenti che vogliamo condividere: “Mi son fatta mettere in ferie, bruciandomi le ferie che mi spetterebbero in autunno, per stare con mia figlia (…) ed è probabile che la mia condizione personale familiare possa compromettere il mio lavoro. Sono sola con una figlia di 7 anni e ho appena cambiato lavoro. Sono in prova fino ad ottobre” e “Rispetto all’anno scorso in cui non avevo lavoro, e non riuscivo a trovarlo, mi reputo incredibilmente fortunata (…) Non sono ancora ben chiare le misure con cui si pagheranno gli stipendi di marzo e aprile, e quando potremmo averceli. Sono preoccupata dei mesi che verranno, ma sono anche sollevata dal fatto che non starò completamente a zero, sino a che sarò coperta dal contratto. Rifletto su tutti i lavoratori in nero, o quelli temporanei, a progetto, e via dicendo, e mi viene male a pensarci”.
Area grigia
Nell’area grigia dei lavoratori privi di contratti indeterminati o a scadenza (disoccupazione, p.iva, contratto a chiamata, prestazione occasionale, tirocinio, dottorando, apprendistato, contratto sportivo, contratti di collaborazione), l’epidemia pare aver avuto un impatto decisamente visibile. Proprio queste categorie, infatti, essendo prive delle più basilari tutele, sembrano essere particolarmente esposte alle difficoltà contingenti.
La stragrande maggioranza percepisce un reddito inferiore a prima o non percepisce più nulla, sostenendo di essere già in grossa difficoltà economica o di non poter reggere la situazione per più di tre mesi. In particolare, per quanto riguarda contratti a chiamata e prestazioni occasionali, la quasi totalità non percepisce alcun reddito dall’introduzione delle misure di isolamento sociale e la conseguente sospensione di una parte delle attività lavorative. Significativa eccezione è costituita dalle/dai braccianti agricole/i, che continuano nella propria attività come segnala un interessante commento che vi riportiamo: “Per noi lavoratori agricoli non è cambiato nulla, almeno nella nostra ditta. Lavoravamo in sicurezza già prima. Il contratto a chiamata agricola non prevede la malattia quindi queste misure corona virus le adottavamo anche prima perché non possiamo permetterci di ammalarci in agricoltura. Le distanze ci sono. [problemi di punteggiatura con l’utitma frase?] Se non fosse per la televisione o i giornali non ci saremmo nemmeno accorti di questa pandemia”.
Tra i pochi che continuano a percepire un reddito, non mancano i disagi: è il caso di dottorande/i che, pur proseguendo nel lavoro da casa, ci segnalano difficoltà pratiche nello svolgimento della propria attività (difficoltà a reperire il materiale necessario per la prosecuzione delle ricerche, nonché preoccupazione legata all’incertezza relativa alle scadenze dello stesso dottorato). La larghissima maggioranza di chi è soggetto a un contratto di apprendistato dichiara di essere stato costretto alle ferie forzate. Oltre a ciò, riportiamo un commento esemplificativo che segnala un problema pre-esistente alla crisi pandemica: “La retribuzione che ricevo non è comunque sufficiente per vivere. Prima dell’emergenza avrei voluto trovare un altro lavoro serale, ora che non è più possibile riesco a far quadrare i conti grazie all’aiuto economico dei miei”.
C’è poi chi è in disoccupazione e teme l’impossibilità di reperire una nuova fonte di reddito al termine della NASpI: “Per chi ha un assegno di disoccupazione questi mesi sono persi per la ricerca lavoro, ma nessuno che io sappia sta ponendo il problema di una proroga della naspi.”