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Quando si parla di spazi comuni a Trieste – e noi lo facciamo spesso – è difficile non pensare al Palazzo Carciotti, che proprio in questi giorni sta facendo parlare di sè.[1] L’abbiamo come edificio simbolo di questa street parade perché la sua storia, in particolare quella più recente, è emblematica rispetto alle modalità di gestione degli spazi da parte del Comune di Trieste. Ovvero la marcata tendenza a vendere ai privati edifici e spazi pubblici della città.
Ma ricapitoliamo un attimo le ultime faccende in cui il Carciotti è stato coinvolto. Tra aste, ribassi e finti acquirenti, i colpi di scena non sono mancati. L’attuale proprietario dello storico palazzo di Ponte rosso, il Comune, aveva già dichiarato anni fa che il solo modo per preservare il palazzo era di venderlo ai privati (un principio che gli amministratori sembrano applicare all’intera città di Trieste). Un grande palazzo, una grande idea: un nuovo concept di business, un polo esclusivo di ricezione del turismo. [2] Ma davvero, un altro hotel? «Chissà», dice il Comune, «ci penseranno i privati a cui lo venderemo». Anche in questo caso, come in altre occasioni, si lascia decidere «al mercato» quale tipo di città diventerà Trieste. E via alle aste per aggiudicarsi il Carciotti. Aste poco fortunate, però, perché a ogni seduta deserta la base d’asta cigola e cede, passando così da 22,7 a 14,9 milioni. Ma finalmente spunta un interessato, l’ingegnere austriaco Gerhard Fleissner a capo della società immobiliare Tpc srl. L’imprenditore si fa un po’ desiderare, ma il Comune gli fa la corte prorogando l’asta due volte e alla fine sembra voler procedere. Chiunque si tenga informato sulla cronaca triestina conosce l’eclatante epilogo della storia: Fleissner si presenta con una cauzione da 155mila euro invece di 1.490.000€ richiesti dal bando. [3] Questo scatena l’imbarazzo generale e la seduta viene immediatamente sciolta. Contrariamente all’opinione secondo la quale l’investitore austriaco avrebbe «sbagliato la cauzione», noi interpretiamo questo gesto come volontà da parte del possibili acquirente di procedere per trattativa privata. Palla in corner, silenzio in stadio e tutti pronti per la prossima asta.
Questa modalità di “svendita” non è per niente innovativa, dato che è in perfetta linea con il modello economico dominante, il quale prevede un travaso strutturale delle risorse pubbliche verso i privati. Nel caso di Trieste, queste privatizzazioni palesano la consapevole decisione del Comune di render gli spazi collettivi accessibili solo ed esclusivamente a chi paga e consuma, trasformando il bene pubblico in merce da cui solo pochi privati possono estrarre soldi.
Le politiche del Comune-Azienda di Trieste guardano al turismo di lusso, uno dei campi di investimento, che più disuguaglianza genera. Sentiamo dire cose quali «il turismo crea posti di lavoro», ma noi aggiungiamo: sottopagati, con contratti stagionali o a chiamata e quindi inevitabilmente precari, privi di tutele e di prospettive professionali. Dunque, non si tratta di lavoro ma di sfruttamento.
Noi invece pretendiamo una città nella quale gli spazi vengano gestiti e goduti dalle persone che li vivono, senza i rapporti economici al centro della vita e sempre basati su un fermo principio di solidarietà. E in questo senso abbiamo organizzato la street, una festa che attraverserà la “città vetrina” per smuoverla e ridarle un po’ di vita, per creare uno spaziotempo di condivisione e gioia fuorimercato.
[1] https://ilpiccolo.gelocal.it/…/la-cauzione-versata-e-troppo…
[2] https://ilpiccolo.gelocal.it/…/trieste-stanze-e-suite-delux…
[3] https://ilpiccolo.gelocal.it/…/la-cauzione-versata-e-troppo…