Il Primo Maggio, da più di un secolo, significa scendere in piazza. C’è chi lo fa per tradizione, chi per rabbia, chi per ascoltare il concerto, chi per porre le rivendicazioni per cui lotta ogni giorno: la data del Primo Maggio, in ogni caso, ha sempre significato soprattutto stare insieme in strada.
Quest’anno, chi governa l’attuale crisi epidemica in Italia non avrebbe voluto che questo succedesse.
Mentre è iniziata ufficialmente la “fase 2”, che ha costretto milioni di lavoratrici e lavoratori a rinchiudersi in altrettanti angusti spazi chiusi, continua infatti a perdurare il divieto di manifestazioni e scioperi in tutto il paese, divieto che – evidentemente – nulla ha a che fare con la benché minima giustificazione sanitaria.
Nonostante le assurde limitazioni governative, il venerdì 1° maggio 2020 Trieste è stata attraversata da un’importante manifestazione a tutela di lavoratrici e lavoratori, proprio perché – di scendere in strada – non ne abbiamo mai avuto così tanto bisogno.
Dai risultati del nostro questionario sul lavoro ai tempi del Coronavirus (leggi qui), dalle moltissime testimonianze che stiamo raccogliendo in questi giorni, ma soprattutto dalle esperienze dirette e indirette di tutte noi, emerge chiaramente che la gestione dell’emergenza Covid-19 ha esasperato i termini e le condizioni, già abbastanza esasperanti, del lavoro odierno.
Mentre Confindustria pretende riaperture e produzione a tutti i costi, la nostra realtà è infatti quella di chi, impossibilitato per settimane ad uscire all’aria aperta, subisce sulla propria pelle gli effetti sanitari ed economici dell’epidemia in atto: chi è stato costretto a mettere a rischio la propria salute perché assunto nelle filiere della produzione giudicata “essenziale” (e, dal 4 maggio, anche milioni di altre lavoratrici); chi vive o ha vissuto licenziamenti in tronco, ferie forzate, diminuzione coatta dell’orario lavorativo, cassa integrazione o, semplicemente e drammaticamente, chi da almeno due mesi non ha più alcun tipo di entrata.
In questo momento è fondamentale non dimenticare le nostre lotte, ascoltandoci tra noi per unire le nostre voci. Sentiamo, perciò, la necessità e l’urgenza di promuovere una nuova iniziativa: uno sportello di ascolto e supporto legale gratuito per lavoratori e lavoratrici in difficoltà, che sappia offrire qualche strumento collettivo in più contro lo sfruttamento che noi tutte viviamo.
Un approccio, dunque, non originale, ma alternativo alle tradizionali forme di sindacalismo o sostegno legale:
– perché non ci sono tesseramenti, iscrizioni o parcelle;
– perché non vuole costituirsi esclusivamente come servizio, ma come luogo di incontro e collaborazione fra sfruttate-i. Nonostante la presenza di una rete di avvocati a disposizione di tutt*, l’intento non è, infatti, quello di delegare a terzi soggetti il nostro disagio, ma piuttosto quello di affrontarlo insieme, offrendo un supporto per elaborare assieme gli strumenti politici ed (eventualmente) legali per risolverlo;
– perché vogliamo costruire una piattaforma, una rete di persone che, condividendo esperienze e idee, riescano a individuare, riconoscere e affrontare non soltanto il sintomo (individuale) dello sfruttamento, ma anche la causa (globale) alla sua origine;
– perché non abbiamo soluzioni in tasca o procedure rigide: è un work-in-progress che prenderà la forma delle esigenze di chiunque vi prenderà parte.
Hai un problema sul lavoro che non sai come affrontare, sei in difficoltà e hai bisogno di un confronto, ti serve un supporto o un consiglio legale in merito? Contattaci al +39 349 5885 929, telefonicamente (tutte le domeniche, dalle 16 alle 20) oppure via telegram/whatsapp.