A oltre un anno dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, constatiamo che molte cose sono cambiate. Alcune, invece, sono rimaste esattamente le stesse: la più vistosa è che il dogma della produzione e del mercato (ovvero, in parole povere: i profitti delle grande aziende sono la priorità assoluta) è ancora la bussola che guida le principali politiche del governo italiano. Nonostante sia sempre più evidente che sia stato proprio questo dogma ad aver, non creato, ma fatto esplodere la pandemia, in un primo momento, poi ad averla resa una strage a causa di un sistema sanitario ridotto all’osso e infine una crisi sociale senza alcun precedente, con il sistema sociale del tutto incapace di rispondere universalmente alla domanda di reddito (che sia di chi lavora in cassa integrazione, di chi ha un piccolo commercio ed è impossibilitato a lavorare, di chi è in disoccupazione, di chi è precario, sempre più espulsi ai margini del mercato del lavoro).
Tempo fa cercammo di fare una cronaca della strage che era in corso, con ospedali e case di riposo al collasso mentre Confindustria strombazzava per le aperture totali e il mantenimento della produzione ad ogni costo. Ci vollero gli scioperi spontanei degli/lle operai/e a rendere evidente l’esigenza che i luoghi di lavoro fossero resi sicuri e quindi ripensati per tutelare la salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Gli affari, come sempre, dovevano andare avanti, e tutto riprese come prima, con il sacrificio deciso da governo e Confindustria di chi era costretto a lavorare e di precisi settori sociali.
Oggi ci troviamo nella medesima situazione, anche se in una forma più spudorata: lockdown totale del cosiddetto tempo libero, se si esce da casa è per andare a lavorare. Quello che però ci sembra cambiato è l’atteggiamento generale. Se inizialmente le restrizioni sortivano un effetto immediato e tangibile, svuotando le strade e i luoghi di ritrovo, un anno dopo quelle stesse restrizioni appaiano sempre più vuote. Vediamo così, in piena zona rossa, che tante persone decidono di forzare i limiti delle interpretazioni di legge. Noi crediamo che uno dei principali motivi di questo cambiamento nei comportamenti è la percezione crescente, più o meno consapevole, che insieme agli scopi sanitari (diminuire i contagi e le morti, principalmente) le misure anti-covid sono guidate anche da un tentativo di puro controllo sociale. Non si spiegherebbero altrimenti ridicole misure come quelle imposte per lo scorso weekend di Pasqua: poliziotti dispiegati per assicurarsi che le persone si spostassero soltanto per andare a rinchiudersi con amici e parenti in spazi chiusi, e per reprimere qualsiasi iniziativa all’aria aperta — infinitamente più sicure da un punto d vista sanitario. Così, nel brulichio di micro-pratiche di resistenza allo stato pandemico, rimangono a girare a vuoto gli sbirri, costretti ad affacendarsi per assegnare arbitrarimente le loro multe.
Se all’inizio il virus sembrava insomma un’entità astratta e assoluta, ora l’esperienza ci insegna quanto la pandemia sia in realtà un fatto naturale e sociale al tempo stesso. Sorridiamo quindi complici alla persona che si siede su una panchina a prendere un po’ di sole, al gruppetto di ragazzi che si trova al parco, all’anziano che si beve un bicer. Con tante sfumature, si tratta perlopiù di situazioni a basso rischio sanitario: stanno all’aria aperta, come è giusto che sia, dove gli stessi spazi permettono il distanziamento necessario per evitare i contagi.
A questo diffuso evento di insubordinazione all’assurdità del potere, dovremmo forse aggiungere alcuni elementi. La critica di questi dispositivi – il coprifuoco, la chiusura forzata in casa, le assurde possibilità di andare all’estero, ma non ad esempio in campagna – ha bisogno di rendersi una forza che sia in grado di scalfire l’impianto governativo. Dovremmo parlare dei vaccini (di come vengono prodotti; del loro significato per proteggere la popolazione più fragile, cosa tutt’altro che al primo posto nel piano militare che hanno organizzato), di come si distribuisce la ricchezza in questa situazione, delle spese militari che crescono vertiginosamente, della sanità e della cura di fronte ad una pandemia. Per ora ci consola l’intesa che troviamo sempre più spesso in strada, che potrà divenire solidarietà preziosa quando i nodi di questa assurda situazione verranno al pettine.