Abbattere il coprifuoco si può!

Sabato sera a Trieste più di un centinaio di persone hanno scelto di violare il coprifuoco. Un corteo selvaggio è partito alle 22 per muoversi nella strade della città: è stata la prima volta che qualcun* ha deciso di organizzarsi per rompere il dispositivo di controllo e di guerra del coprifuoco, motivato da ragioni tutt’altro che sanitarie.

Nonostante la presenza di figure più o meno note che raccattano voti con facili discorsi sulla pandemia, la maggior parte delle persone scese in piazza si è trovata per opporsi all’assurdità della misure autoritarie del governo.

Un corteo vivo ed acceso, che al grido LIBERTÀ ha rotto quella che sembrava la più inviolabile delle misure. Un grido di libertà intonato da giovani, precari e proletari che hanno deciso di dire basta allo stato di polizia che avanza.

La digos cacciata a male parole, la libertà del gesto semplice di liberazione, la musica, le discussioni sulle multe e i controlli ci restituiscono il segnale di una ribellione che avanza. Non contro l’epidemia in sé, ma contro lo stato di polizia che la gestisce.

Il coprifuoco è l’ennesima misura meramente repressiva che viene calata dall’alto su di noi. Perciò scendiamo in piazza e, con i nostri corpi, abbattiamolo.

Da Trieste alla Valsusa, la lotta continua!

Venerdì 16 aprile alcune/i compagne e compagni hanno raggiunto la Val di Susa per unirsi al campeggio resistente NoTav lanciato dopo i fatti di inizio settimana scorsa.
Nella notte tra lunedì e martedì, infatti, un migliaio di sbirri si sono riversati ancora una volta nella valle, questa volta per sgomberare manu militari il presidio all’ex Autoporto di San Didero inaugurato a metà dicembre. 
In barba a tutti i discorsi che da un anno sentiamo riguardo l’epidemia, le restrizioni agli spostamenti e agli assembramenti e sul coprifuoco, nottetempo un vasto dispiegamento di forze del disordine si è presentata per strappare i terreni della valle destinati al nuovo Autoporto vicino ai comuni di San Didero, Bruzolo, Bussoleno, San Giorio.
Dopo una notte di fronteggiamenti, alcuni NoTav sono riusciti a resistere sul tetto, mentre rapidamente operai e mezzi recintavano distruggendo i terreni sottratti. 
La risposta della valle è stata immediata, tra presidi e manifestazioni, culminata in un corteo altamente partecipato (oltre 4000 persone) e i diversi saluti ai resistenti.
Durante l’ultimo di questi saluti le truppe d’occupazione hanno risposto con violenza, tra idranti e lanci di lacrimogeni ad altezza uomo. In questo frangente Giovanna, una compagna NoTav, è rimasta gravemente ferita da un candelotto che l’ha colpita in faccia provocandole varie fratture al volto e due emorragie cerebrali.
Non è la prima volta che si  verifica un episodio di questa gravità in val di Susa. Soltanto qualche giorno prima, un altro militante NoTav aveva infatti riportato ferite alla testa in seguito all’impatto con un lacrimogeno.
Sparare lacrimogeni ad altezza uomo è una pratica che le truppe di occupazione utilizzano purtroppo da molti anni, causando nel tempo diversi ferimenti gravi come la perdita di un occhio e svariate fratture al volto e alla testa. A differenza di quanto riportato a livello mediatico, non si è trattato di un incidente, quindi, ma di un deliberato attacco delle forze dell’ordine. 
Oltre a ciò, una volta in ospedale, la compagna ha dovuto anche subire il comportamento indecente di un’operatrice, che ha tentato di colpevolizzarla e poi un tentativo di interrogatorio da parte della Digos, nuovamente a sfregio di ogni protocollo sanitario vigente anche a causa della pandemia.
È dalla notte dello sgombero che la polizia prova ad allontanare con azioni del genere chi difende questa terra.
A Giovanna, ai resistenti ed al movimento NoTav va tutta la nostra solidarietà e complicità.
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–> Prossime iniziative: SABATO 24 APRILE 2021 ORE 17:30 – MOMENTO INFORMATIVO SUI LAVORI PER IL NUOVO AUTOPORTO DI SAN DIDERO https://www.facebook.com/events/772294050087273/

–> Altre info: https://www.notav.info

A SARÀ DÜRA!

Pasqua 2021, esempio paradigmatico della gestione pandemica

A oltre un anno dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, constatiamo che molte cose sono cambiate. Alcune, invece, sono rimaste esattamente le stesse: la più vistosa è che il dogma della produzione e del mercato (ovvero, in parole povere: i profitti delle grande aziende sono la priorità assoluta) è ancora la bussola che guida le principali politiche del governo italiano. Nonostante sia sempre più evidente che sia stato proprio questo dogma ad aver, non creato, ma fatto esplodere la pandemia, in un primo momento, poi ad averla resa una strage a causa di un sistema sanitario ridotto all’osso e infine una crisi sociale senza alcun precedente, con il sistema sociale del tutto incapace di rispondere universalmente alla domanda di reddito (che sia di chi lavora in cassa integrazione, di chi ha un piccolo commercio ed è impossibilitato a lavorare, di chi è in disoccupazione, di chi è precario, sempre più espulsi ai margini del mercato del lavoro).

Tempo fa cercammo di fare una cronaca della strage che era in corso, con ospedali e case di riposo al collasso mentre Confindustria strombazzava per le aperture totali  e il mantenimento della produzione ad ogni costo. Ci vollero gli scioperi spontanei degli/lle operai/e a rendere evidente l’esigenza che i luoghi di lavoro fossero resi sicuri e quindi ripensati per tutelare la salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Gli affari, come sempre, dovevano andare avanti, e tutto riprese come prima, con il sacrificio deciso da governo e Confindustria di chi era costretto a lavorare e di precisi settori sociali.

Oggi ci troviamo nella medesima situazione, anche se in una forma più spudorata: lockdown totale del cosiddetto tempo libero, se si esce da casa è per andare a lavorare. Quello che però ci sembra cambiato è l’atteggiamento generale. Se inizialmente le restrizioni sortivano un effetto immediato e tangibile, svuotando le strade e i luoghi di ritrovo, un anno dopo quelle stesse restrizioni appaiano sempre più vuote. Vediamo così, in piena zona rossa, che tante persone decidono di forzare i limiti delle interpretazioni di legge. Noi crediamo che uno dei principali motivi di questo cambiamento nei comportamenti è la percezione crescente, più o meno consapevole, che insieme agli scopi sanitari (diminuire i contagi e le morti, principalmente) le misure anti-covid sono guidate anche da un tentativo di puro controllo sociale. Non si spiegherebbero altrimenti ridicole misure come quelle imposte per lo scorso weekend di Pasqua: poliziotti dispiegati per assicurarsi che le persone si spostassero soltanto per andare a rinchiudersi con amici e parenti in spazi chiusi, e per reprimere qualsiasi iniziativa all’aria aperta — infinitamente più sicure da un punto di vista sanitario. Così, nel brulichio di micro-pratiche di resistenza allo stato pandemico, rimangono a girare a vuoto gli sbirri, costretti ad affacendarsi per assegnare arbitrarimente le loro multe.

Se all’inizio il virus sembrava insomma un’entità astratta e assoluta, ora l’esperienza ci insegna quanto la pandemia sia in realtà un fatto naturale e sociale al tempo stesso. Sorridiamo quindi complici alla persona che si siede su una panchina a prendere un po’ di sole, al gruppetto di ragazzi che si trova al parco, all’anziano che si beve un bicer. Con tante sfumature, si tratta perlopiù di situazioni a basso rischio sanitario:  stanno all’aria aperta, come è giusto che sia, dove gli stessi spazi permettono il distanziamento necessario per evitare i contagi.

A questo diffuso evento di insubordinazione all’assurdità del potere, dovremmo forse aggiungere alcuni elementi. La critica di questi dispositivi – il coprifuoco, la chiusura forzata in casa, le assurde possibilità di andare all’estero, ma non ad esempio in campagna – ha bisogno di rendersi una forza che sia in grado di scalfire l’impianto governativo. Dovremmo parlare dei vaccini (di come vengono prodotti; del loro significato per proteggere la popolazione più fragile, cosa tutt’altro che al primo posto nel piano militare che hanno organizzato), di come si distribuisce la ricchezza in questa situazione, delle spese militari che crescono vertiginosamente, della sanità e della cura di fronte ad una pandemia. Per ora ci consola l’intesa che troviamo sempre più spesso in strada, che potrà divenire solidarietà preziosa quando i nodi di questa assurda situazione verranno al pettine.

DI SFRUTTAMENTO E NUOVE LOTTE 

Ieri a Trieste una parte sostanziale dei riders che lavorano in città hanno deciso di disconnettersi dalle applicazioni che gesticono il loro lavoro per aderire allo sciopero nazionale contro le condizioni a cui sono sottoposte e sottoposti. Cottimo, sistemi di valutazione che li costringono a turni infiniti e spesso vuoti (tempi di attesa che non vengono retribuiti), nessun riconoscimento di malattia e infortuni, caporalato, sono solo alcuni tasselli di come è venuto a costituirsi il lavoro del food delivery dominato dalle grandi piattaforme che tutti conosciamo.

La pandemia e la sua gestione da parte delle diverse amministrazioni pubbliche ha provocato una vera e propria esplosione della domanda di consegne a domicilio di cibo e altri prodotti. Questo fenomeno, in un contesto di maggiore disoccupazione e di accelerata precarizzazione del lavoro, ha permesso a molte persone di trovare nella figura del rider una soluzione, parziale ma immediata, ai propri problemi lavorativi.

Questa necessità non ha anestetizzato però la presa di coscienza di molt* riders, che hanno capito che il sistema che gestice il loro lavoro non è che l’ennesimo meccanismo di sfruttamento. Così, in tante città, da mesi, hanno alzato la voce per chiedere migliori condizioni lavorative.

Le risposte padronali non si sono fatte attendere: la più recente, quella dell’accordo capestro tra Assodelivery e l’infame sindacato UGL (per nulla rappresentante dei lavoratori e delle lavoratrici del settore). E in questi giorni, altri accordi al ribasso stanno venendo sperimentati. Sono miseri tentativi per arrestare una lotta incipiente ma solida, portata avanti spesso da persone migranti, fatta in ogni caso da riders auto organizzati e molto combattivi. Chiedono l’applicazione del contratto nazionale della logistica e tutte le tutele del lavoro dipendente. Chiedono un salario dignitoso, la possibilità di rinnovare i documenti, il riconoscimento della dignità del lavoratore e della lavoratrice. All’urlo di «Non per noi, ma per tutt*».

Ieri per diverse ore i e le riders hanno sfilato per le vie della città, saldandosi alla Critical Mass che dall’anno scorso si riprende a due ruote, ogni ultimo venerdì del mese, gli spazi di circolazione in città. Hanno picchettato il McDonalds di piazza Goldoni e si sono ripresi in sicurezza le strade che percorrono ogni giorno nel traffico.

Ci è sembrato importante esserci al loro fianco, esprimere  solidarietà nella lotta, perché non si tratta solo di un lavoro ultra-precario, ma delle condizioni generali di circolazione delle merci in città, delle condizioni di vita e di lavoro di tutte e tutti.

Sul 3 novembre e la repressione

Il 3 novembre 2018 si sono svolte due importanti manifestazioni in regione: una antimilitarista a Gorizia contro le celebrazioni di una guerra fratricida e sanguinaria, una antifascista a Trieste contro la sfilata dei neofascisti di Casapound. Entrambe con l’obiettivo di combattere la narrazione tossica dell’esaltazione della nazione, della patria, del mito del “bravo italiano”, del macho eroe italico, narrazione che si è fatta strada in questa terra di confine creando terreno fertile per nuovi rigurgiti fascisti. Molte compagne in quella giornata si sono riversate nelle strade, mettendo in campo i propri corpi, gli strumenti e le pratiche di lotta che più ritenevano opportune per contrastare il lerciume guerrafondaio, nazionalpatriottico e neofascista che stava strisciando nelle due città, per urlare che la guerra fa schifo, quella di ieri come quella di oggi. Una guerra che continua ad essere alimentata da armi prodotte anche in questa regione.

Anche noi siamo scese per gridare che la guerra faceva schifo pure a quelli che oggi vengono chiamati eroi ma che non sono stati altro che carne da cannone; che quelli che si considerano nuovi eroi e vogliono marciare lungo le vie della nostra città col petto in fuori e il braccio teso vanno fermati.

Ma lo Stato si crogiola in queste narrazioni, gli sono necessarie per giustificare la produzione e la vendita di armi, gli interventi militari e neocoloniali, la violenza dei respingimenti alle frontiere, lo sfruttamento di persone migranti basato sul ricatto del permesso di soggiorno. E se tutto ciò viene attaccato lo Stato risponde con la repressione: cinque le denunce a Trieste per travisamento e manifestazione non autorizzata (il processo si è aperto l’8 marzo 2021, appena due giorni fa); quattro i decreti penali di condanna, emessi nell’ultima settimana con la richiesta di un pagamento di quasi 11.000 euro per manifestazione non autorizzata, imbrattamento e accensioni pericolose di materiale pirotecnico per il corteo di Gorizia.

Esprimiamo piena solidarietà a tutte le compagne coinvolte, la repressione non fermerà le nostre lotte.

Da Trieste a Ragusa: lo Stato contro la solidarietà organizzata

È passata meno di una settimana dalla violenta perquisizione realizzata dalla polizia nella sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV — anche abitazione privata della sua presidentessa Lorena Fornasir e del suo vicepresidente Gian Andrea Franchi — all’interno di un’indagine di larga scala su una supposta rete di passeur nella quale, a detta della Procura di Trieste, sarebbe coinvolto l’attivista. Ci sembra evidente che l’infame accusa rappresenta in realtà un tentativo di usare il potere giudiziario per attaccare una forma di solidarietà — quella che sostiene quotidianamente le persone protagoniste dei massacranti viaggi lungo i confini, a cui sono costrette dai governi europei — ormai troppo scomoda per i guardiani dell’ordine sociale.

Il ruolo che le associazioni svolgono nelle strade e nei mari mette infatti in luce in modo impietoso l’ipocrisia degli Stati europei, il meccanismo inumano dei confini tritacarne, utile soltanto alla produzione di nuovi schiavi, l’inconsistenza della retorica contrapposizione fra migranti regolari e irregolari in un sistema che obbliga chiunque alla clandestinità forzata.

Dopo aver tentato di colpire chi pratica la solidarietà lungo la Balkan route, a stretto giro è arrivato il turno di chi si organizza per tamponare l’altro grande massacro che avviene ai confini della Fortezza Europa — quello del Mediterraneo.

Ieri mattina all’alba, è scattata una vasta operazione di polizia contro Mediterranea Saving Humans, un’associazione senza scopo di lucro che dal 2018 promuove la pratica del soccorso civile in mare. La Procura di Ragusa (Sicilia), nota per la sua crociata contro le ONG che aiutano le persone migranti, ha coordinato perquisizioni in tutta Italia, in abitazioni, sedi sociali, e sulla nave Mare Jonio. Come indica la stessa associazione in un comunicato stampa rilasciato ieri, «le accuse sono pesanti, ma in realtà puntano a colpire la pratica del soccorso civile in mare».

In terra, in mare, a nord e a sud, le persone solidali si organizzano contro i massacranti confini di un’Europea che, dopo secoli di devastante colonialismo, si chiude a riccio e nega l’entrata nei suoi territori sulla base di criteri razzisti e classisti.

Noi saremo sempre schierati dalla parte della solidarietà, della libertà di movimento di tutte le persone, contro i confini.

Solidarietà e complicità alle compagne e ai compagni di Mediterranea!

Sulla Breccia e gli immobili

Poco più di un anno fa qualcun* decise di liberare uno dei tanti spazi abbandonati della città. Nacque, per un piccolo frammento di tempo, La Breccia: un laboratorio sul presente, un’azione diretta, un pretesto, dicevamo, per dare spazio a idee e pratiche per la città (qui una ricostruzione). Quel 28 settembre 2019, la Breccia fu subito sgomberata dalle forze dell’ordine. Su quello spazio, parte dell’immenso patrimonio immobiliare di proprietà del Comune, ci misero nulla ad annichilire il luogo che avevamo immaginato e iniziato a creare, usarono tutta la loro forza (non poca) per assicurarsi che rimanesse vuoto, abbandonato. Non ci stupì poi tanto. Quello che continua a lasciarci basiti è invece la tragica asimmetria delle cose. Poche ore per orchestrare l’azione di polizia, contro decenni di immobilismo sul fronte delle risposte sociali.

Ieri sulla stampa locale l’Ex Sacra Hosteria – per noi, la Breccia – è tornata agli onori della cronaca. Di nuovo perché qualche testardo (leggi testa vuota) assessore si è preso la briga di continuare a svenderlo. È anni che millanta piani e progetti per quel posto: enogastronomia, turismo, le cazzate di chi crede che tutto si risolva con project financing, hotel e crociere, di chi considera che la città sia unicamente il suo centro storico. È anni, a dire il vero, che il patrimonio pubblico è messo all’asta: le gare vanno a vuoto, il prezzo scende, gli amici fanno affari.

E così il Comune spende 10mila euro di parcella per “incarichi professionali mirati” (ovvero soprattutto s-valutazione del prezzo base d’asta) per la sola ex Sacra Hosteria, per poi nel 2021 metterla di nuovo sul mercato. Siamo sempre lì, immobili (è il caso di dirlo). Dopo lo sgombero della breccia, Giorgi – assessore e sbirro alla turistificazione di questa città – se ne venne fuori con mirabile tempismo ricordandosi che da un anno a quella parte stava lavorando in zona ad una fantomatica offerta enogastronomica (certo di grande interesse per la città). È ancora tutto lì, più abbandonato e vuoto di prima. Quello che cresce è solo la speculazione, la rendita, gli affari per i capitali privati che a Trieste vedono l’occasione della vita. Mangiarsi il patrimonio immobiliare pubblico per pochi spicci, aprire qualche albergo o ristorantino, specularci un po’, rivendere e poi far ripartire la giostra. Tutt’attorno, il deserto sociale, la povertà che avanza e viene schiacciata nelle periferie, la riqualificazione, ovvero la riorganizzazione urbana su misura per i capitali.

A tutto questo, come al tempo, continueremo ad opporre un altro modello di città, non dominato dai rapporti commerciali, ma dalla solidarietà, dal mutuo appoggio. A Giorgi, il responsabile, auguriamo semplicemente buon natale (e che sia l’ultimo, da assessore). A chi ha voglia e un po’ di coraggio, di provarci sempre.

TRAMA_rete mutualistica autogestita

La pandemia globale che stiamo vivendo ha di fatto accelerato processi sociali già in atto: una minoranza di persone diviene sempre più ricca mentre tutt’attorno crescono miseria, povertà e disperazione.

Invece della gestione sensata di un’emergenza sanitaria abbiamo visto mettere in atto piuttosto una militarizzazione delle strade e dei territori.

Mentre le nostre libertà venivano limitate e la repressione nelle strade aumentava, metà delle grandi imprese del FVG restavano aperte senza le necessarie tutele per lavoratori e lavoratrici, il contagio da Covid 19 si diffondeva senza che il sistema sanitario venisse rafforzato, ed i finanziamenti all’industria bellica e alle forze dell’ordine aumentavano. Chi si trovava senza casa poteva ambire al massimo ad una multa, e chi perdeva il lavoro doveva razionare i soldi risparmiati.

Nulla è cambiato con la cosiddetta seconda ondata, la fase attuale, dove anzi si fanno più evidenti gli effetti della crisi sociale in atto. Aumentano il numero di persone che a Trieste rischiano uno sfratto (più di 200 casi all’anno), lo stacco delle utenze o hanno appena i soldi per arrivare a fine mese. Non si tratta solo della mala-gestione sanitaria derivata dall’assenza di organizzazione e finanziamenti, ma anche del peggioramento generalizzato della salute mentale di tutte/i, dell’iper-tecnologizzazione forzata delle nostre attività, della privazione della socialità – soprattutto nelle persone giovani – e della mancanza, per bambini/e e adolescenti, di un modo di apprendere sano ed adeguato.

Se la propaganda di governo continua ad additarci indistintamente come responsabili, sotto forma di “furbetti”, spetta allora a noi, tutte/i assieme, analizzare autonomamente la situazione che ci circonda. Vedremmo quindi, per esempio, che il 7 novembre, Fincantieri, colosso industriale anche di navi da guerra, si vantava sulla stampa che il 3% dei loro lavoratori era risultato positivo al Covid19, non dicendo però che l’incidenza nella popolazione era dell’1.5% e che quindi raddoppiava nei loro cantieri, mai chiusi.

Insomma, la crisi sanitaria ci mostra una gestione dell’emergenza votata a tutelare profitti e aumentare di fatto il controllo sulla popolazione, mentre lascia poche briciole per sostenere il reddito di chi è in difficoltà, per la sanità pubblica al collasso e i suoi lavoratori e lavoratrici, per i trasporti dove siamo costretti/e ad ammassarci per far funzionare questa economia di guerra. Ovvero una macchina che produce profitti per pochi, morte e miseria per gli altri/e.

Di fronte a questo sistema, che crediamo vada affrontato alle radici, e di fronte alla crisi in arrivo, pensiamo sia importante riconoscerci, partire dall’organizzazione della solidarietà tra di noi in reti autogestite, convinte/i che sia la via per garantirci a tutte/i tutela e supporto. 

La solidarietà rappresenta per noi la base per la costruzione di un mondo altro, basato sul supporto reciproco e sulla cura tra le persone.

In questo cammino non vogliamo sottostare ad equilibrismi politici e di potere, ma vogliamo invece procedere passo dopo passo con obbiettivi chiari e semplici, mossi dal senso di giustizia e dall’autogestione. Per questo pensiamo per esempio che: nessuna/o deve dormire all’addiaccio con il freddo e rischiare la morte, che chi non può permettersi un affitto non deve essere sfrattata/o, che chi non può permettersi la spesa non deve avere fame. Non vediamo la nostra attività come la fornitura di servizi para-statali, ma come un vivere ed un agire politico che tende a costruire concretamente relazioni diverse.

Significa praticare il mutuo soccorso nell’ottica che anche chi ne beneficerà potrà contribuire in prima persona a prendersi cura della comunità in altre forme.

Se cerchi supporto in città, o sei affine a ciò che abbiamo scritto qui, puoi trovarci:

???? GERMINAL_via del Bosco n.52°_San Giacomo
-Lunedì dalle 18.00 alle 20.00
°Raccolta alimentare e medicinali

-Mercoledì dalle 18.00 alle 20.00
°Distribuzione alimentare
°Sportello casa/utenze: per organizzarci assieme contro sfratti e stacchi delle utenze (per info e segnalazioni : 3294318856 )

Per raccolta e distribuzione contattare: 3518150663 o gruppoanarchicogerminal@hotmail.com

???? ZENO_vicolo delle Rose _Roiano
°Raccolta e distribuzione alimentare, medicinali, vestiti e coperte
Contattaci: arcizeno@gmail.com

???? CASA delle CULTURE_via Orlandini 38 (sopra al ponte)_Ponziana
-Sabato dalle 17.00 alle 19.00
°Raccolta abiti e coperte, raccolta alimentare e medicinali
Contattaci: cdctrieste@gmail.com

Niente stipendio? Nessun affitto!

A causa del COVID-19 hai perso il lavoro? Non riesci più a pagare l’affitto?         

Molte persone si trovano letteralmente sul lastrico, a causa della crisi sociale e economica attuale, ma possiamo reagire:

  • Ricontratta l’affitto. Puoi metterti d’accordo con il proprietario di casa per ridurre l’affitto in questo periodo di emergenza, in tutta Italia molte persone lo stanno già facendo!

A questo link puoi scaricare una lettera da mandare al proprietario per proporre la riduzione: https://sullabreccia.noblogs.org/modello-di-lettera-per-contrattazione-di-affitto/

  • Il propietario si rifiuta? Sciopera! Non devi aver paura di perdere la casa perché tutte le procedure di sfratto sono bloccate fino al 1 settembre e i tribunali sono intasati! Non buttare il poco che hai nell’affitto!
  • Contattaci e condividi la tua esperienza. L’unione fa la forza: siamo un gruppo di giovani, e abbiamo deciso di fare e diffondere lo sciopero dell’affitto e molti di noi hanno ottenuto delle riduzioni! Insieme possiamo trovare la migliore strategia per parlare e contrattare con il proprietario di casa, e la tua esperienza può dare forza ad altre persone!

Chiamaci al (+39)3294318856 o scrivici su questa pagina:  https://www.facebook.com/collettivotilt/; possiamo darti una consulenza, raccontarti la nostra esperienza e trovare il modo di organizzarci insieme!

Modello di lettera per contrattazione di affitto

Raccomandata AR / E-mail …………….

Oggetto: locazione Via …………………………. N. … 

Gentile sig. ……………………….

In relazione al contratto di locazione da me stipulato per l’appartamento di Sua proprietà sito in …………., Via ……………………….., N. ….  Le faccio presente che a causa della nota diffusione del  Covid-19, e delle conseguenze sull’economia, non ho la possibilità di versare il canone come pattuito in contratto.

Infatti in questo mese non ho percepito alcuna somma poiché ………………………………………. e nei prossimi mesi, per la medesima ragione, non prevedo miglioramenti.

Sono a conoscenza della possibilità che il Parlamento intervenga con misure integrative o fiscali e pertanto, in attesa di novità legislative, Le propongo di ricontrattare il canone con una delle seguenti ipotesi:

  • Diminuzione del canone fino alla scadenza del contratto del ……… % [la percentuale di quanto voglio ridurre l’affitto]
  • Diminuzione del canone per ….. mesi del …….. % [come sopra]
  • Sospensione per i prossimi ….. mesi del versamento del canone, impegnandomi a riprendere il pagamento del canone, non appena finisce l’emergenza.

Resta inteso che continuerò a versare quanto dovuto per oneri condominiali e utenze.

In mancanza di una sua risposta, ovvero di rigetto di tutte le proposte sopra indicate, Le comunico che dal prossimo mese …..

  • verserò il canone in misura ridotta ed esattamente la somma di € ……………
  • non verserò il canone di affitto

Ogni risposta potrà essere inviata a mezzo E-mail all’indirizzo: …………………………………….

Saluti

Li,……………